Psicologia
Donna

UN PADRE E UNA FIGLIA


Quello che una donna diventa e il suo modo di amare dipendono, in gran parte, da quello che c’è stato tra lei e suo padre: il suo primo grande amore. Tutto  comincia quando si è piccoline, sempre tra le braccia della mamma, ad un certo punto, si desidera qualcos’altro, un contatto più vicino con l’altro genitore, quello più distante, sconosciuto, comunque nuovo. Allontanarsi dai seni materni, luogo accogliente, sicuro e spostarsi verso ciò che non si conosce  non è cosa semplice, non si sa a cosa si va incontro e come ci si potrebbe sentire , però il bisogno di avere accanto questa figura paterna cresce mischiandosi anche al bisogno già esistente di viversi la mamma. Le difficoltà però  iniziano entrando nell’adolescenza, è proprio  in questo momento delicato che lo sguardo del proprio padre sulla figlia si può  fare a volte costruttivo, incoraggiandola verso la conquista della vita e della sessualità e a volte, forse perché anche i padri possono essere fragili  e troppo innamorati delle figlie, si  può fare anche morboso e possessivo, facendola sentire in ostaggio  e, segregandola nell’adorazione della sua figura. Ma Il cuore di una donna non deve appartenere al papà ma essere libero, infatti quando un padre si fa troppo “idolo” sarà impossibile per lei un altro amore.  Ascolto storie di figlie che hanno rifiutato un padre violento, o che si sono impegnate, tutta la vita, a soddisfare il genitore esigente o a riempire il vuoto di un padre assente. Chi ha avuto un padre-mammo, genitore che non riesce a costruire, con la propria figlia, un rapporto delicatamente virile e assertivo, cioè che consiglia facendo tesoro del punto di vista maschile, rischia a sua volta, di ricercare da adulta un compagno mammo su cui appoggiarsi e fare riferimento. Mi dispiace per quelle donne che hanno avuto accanto padri inaffidabili perché hanno lasciato in loro il dubbio se siano state amate o meno, donne disabituate a fidarsi ma allenate  ad amare e odiare  il compagno, avvicinarlo, respingerlo, lasciarlo e riprenderlo. Ho conosciuto padri aggressivi, inutile descrivere le conseguenze devastanti di un rapporto così doloroso che potrebbe mettere  la figlia in pericolo perché preparata a stare solo in un rapporto persecutore-vittima. Ci sono anche padri autoritari che possono castrare la libera espressione della bambina, limitarne le esperienze  e creare bassa autostima e insicurezza. Non mi sono molto simpatici i padri amiconi, apparentemente innocui perché frequentarli è divertente: con loro si può tutto e confidare tutto, ma trovo sia invalidante l’assenza di una guida forte, poiché senza di essa è probabile incoraggiare comportamenti superficiali ed eternamente infantili. Pochi sanno quanto sia importante un progetto comune tra i genitori, un gioco di squadra (specialmente durante le separazioni) in modo che la figlia possa coltivare la propria femminilità nello sguardo benevolo maschile che sollecita a cercare dentro di sé la necessaria autonomia. Quello che ho desiderato da mio padre è stato sempre il suo interesse sincero e autentico nei miei confronti, che potesse ascoltarmi e osservarmi con tenerezza, rispettando e accettando il mio modo di essere a volte e troppo spesso distante dal suo. Credo che ogni figlia debba ricomporre emotivamente, dentro la sua anima, il legame con il proprio padre, con il padre troppo amato, con quello violento, con quello fragile e possessivo, con quello idealizzato o troppo distante etc, non importa di quale natura, ciò che importa veramente è lasciarlo andare per poi muoversi verso una vita da adulta perché è proprio il papà che insegna alla figlia(e se vuole, lo sa fare molto bene)  che la vita non è solo benessere, conferma, protezione ma anche perdita, mancanza e fatica e si può trovare sempre il modo di cavarsela.

Un quadro di Margarita Sikorskaia.

 

 


Dott.ssa Mariacandida Mazzilli
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli