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Psicologia |
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Dott.ssa Mariacandida Mazzilli |
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli |
L'ANGOSCIA DI ABBANDONO L'angoscia di abbandono ha a che fare con il tipo di attaccamento che si è instaurato nell'infanzia e la reazione a questa angoscia assume varie sfumature, a volte molto dolorose. La tendenza innata a cercare vicinanza (attaccamento) con una figura di riferimento, soprattutto nell'infanzia nel momento di massima vulnerabilità e dipendenza, è una condizione che gli esseri umani condividono con tante specie animali. E' per questo che, per una volta, vorrei provare a parlare di un argomento come l'angoscia di abbandono utilizzando immagini ed esempi presi in prestito dal mondo dei nostri amici cani e mi si perdoneranno alcuni riferimenti personali. Un cane seduto all'entrata del canile, lo tiene al guinzaglio una signora con grandi occhiali scuri che lo ha riportato indietro lì dove lo aveva adottato due settimane prima. "E' troppo vivace, non riesco a stargli dietro, non posso tenerlo, è stato un errore adottarlo, chiedo scusa". La signora si allontana lentamente sotto gli sguardi rimproveranti dei responsabili del canile, mentre il cagnolino si alza, tenta di seguirla, comincia ad abbaiare incessantemente. Nei suoi occhi un'espressione smarrita, terrorizzata: gli occhi dell'abbandono. Il cagnolino viene in seguito adottato da altre persone e, nei mesi successivi, continua ad avere un comportamento simile ogni volta che vede per strada una figura femminile che evidentemente gli ricorda la signora che lo ha prima adottato e poi riportato in canile. Ulula, abbaia e tira il guinzaglio per tentare di raggiungere questa o quella passante con occhiali scuri. E abbaia anche se i nuovi padroni lo lasciano in casa solo per qualche ora, per poi ritrovare al loro ritorno pipì sul divano e libri ridotti a brandelli. I cani sono, un po' come noi, esseri socievoli, hanno bisogno di vivere in branco, soffrono a stare soli in luoghi senza stimoli. Allontanare un cane dal suo branco o da una figura di riferimento, provoca in lui una forte angoscia, un'emozione intensa che può ricordare quella che potrebbe provare un bimbo quando viene allontanato dalla propria madre. Alcuni cani manifestano la loro disperazione distruggendo mobili, scavando, tentando di scappare e o perfino facendosi del male da soli, mordendosi ossessivamente. Allo stesso modo un bimbo piccolo che si sente sereno in presenza della madre che si prende cura di lui, prova angoscia e piange se lei si allontana. Il momento "chiave", di crescita, è rappresentato proprio dal ritorno della mamma: il bimbo si calma e interiorizza che, anche se può succedere che momentaneamente non possa vederla, lei c'è e sicuramente tornerà. Può succedere però che il bimbo rimanga separato dalla madre per lungo tempo e in questi casi è più difficile maturare quella sicurezza che lei c'è e tornerà. E allora il bimbo può reagire protestando in vari modi (farebbe di tutto per riavere la madre), arrivando a una vera disperazione se la mamma non torna ancora (aspetta il suo ritorno, concentrato solo su questo) per giungere in alcuni casi, quando il dolore diviene inaccettabile, a una sorta di distacco emotivo, come se improvvisamente non provasse più alcun interesse per lei. Stiamo parlando di esperienze intense di angoscia vissute durante l'infanzia che restano latenti nei ricordi più profondi e che possono riemergere in età adulta se stimolate dall'allontanamento o dalla scomparsa di una figura di riferimento importante. Per quel cagnolino prima adottato e poi riportato in canile ci sono voluti mesi perché l'angoscia si placasse. Un nuovo legame più forte, fiducioso e rassicurante e i preziosi consigli di un educatore. Ora può stare in casa da solo anche per ore senza soffrire, ha un atteggiamento rilassato e sembra sicuro del fatto che non verrà più abbandonato. E quel bambino disperato per l'assenza della mamma fino a "disinteressarsi di lei"? Quel bimbo è diventato adulto ed è come se fosse da sempre alla ricerca di una figura di riferimento, un appoggio che possa in qualche modo aiutarlo a interagire senza troppi scossoni emotivi con il mondo esterno. Quella figura, una volta trovata, diventa indispensabile, una parte mancante di sé che aiuta ad ammortizzare quel senso di inadeguatezza profonda ormai radicata dal vissuto infantile. Spesso questo riferimento si identifica nel partner, col quale tende a stabilirsi una relazione simbiotica nella quale l'altro "è come io vorrei essere, fa le cose che io non riesco a fare". Come uno schermo dietro il quale si può tenere nascosta la vera immagine di sé e che permette di dimenticare, rimuovere, quelle parti più fragili. Nasce così una nuova immagine positiva di sé, un personaggio tutto nuovo che si illude di avere buona autostima e un contatto diretto con la propria interiorità: una maschera, un falso sé. Tutto funziona bene dal momento in cui l'interazione con l'esterno viene mediata dall'altro, ma le cose prendono un'altra piega quando si verifica una separazione fisica o psichica con la figura di protezione (un allontanamento momentaneo, un viaggio di lavoro del partner, o addirittura la fine della relazione). Il soggetto "dipendente" si trova improvvisamente denudato di quella protezione, indifeso e solo con se stesso, mentre tutte le antiche paure riaffiorano. E' quindi obbligato a confrontarsi con la realtà facendo stavolta i conti con quegli aspetti della sua personalità che aveva rimosso. L'angoscia può diventare molto forte sino a minare la considerazione di sé. Nei casi più difficili si può arrivare ad aver paura anche di uscire di casa da soli, di guidare la macchina, di fare la fila alla posta. Si tratta di "sintomi" che in prima analisi potrebbero far pensare alla paura della solitudine, ma più profondamente connessi alla "paura di non esistere". L'amore di qualcuno non solo fa sentire importanti ma, ancor prima, è la conferma che esistiamo e, nel momento in cui quell'amore non c'è più, prevale il senso di smarrimento. Ecco perché la perdita della persona amata per alcuni è tutt'uno con il senso di perdere se stessi. La persona "abbandonata" si accorge di aver mal costruito la stima in sé senza aver veramente imparato a fidarsi delle proprie capacità. Un'altra immagine tratta dall'osservazione dei cani in un canile: una femmina spaventata, disorientata, sta tutto il giorno appartata in un angolo della sua gabbia. Poi viene spostata in un'altra gabbia in compagnia di un cane delle sue stesse dimensioni, molto più sicuro di sé, abituato a vivere libero in strada prima di finire in canile. La cagnolina si lega molto al suo nuovo compagno, lo segue in ogni suo movimento, leccandolo sul muso per comunicargli in ogni momento che lei è una gregaria e ha accettato che lui sia la sua guida "dominante". Dal momento in cui nella sua vita compare l'amichetto speciale, la cagnolina assume un comportamento più sereno, scodinzola sempre, mangia tutta la sua razione di cibo e finalmente può uscire da quell'angolo dove sperava di nascondersi dall'occhio del mondo esterno. Quando i due vengono portati a fare una passeggiata sono proprio uno spettacolo, con la cagnolina che non stacca mai lo sguardo da lui. Ma le poche volte che il maschio viene allontanato lei si immobilizza e tiene lo sguardo fisso nel punto esatto dove l'amico è sparito dalla sua visuale, il suo battito cardiaco aumenta. Cosa succederà se saranno adottati separatamente? Il maschietto forse non avrà problemi, già abituato a fidarsi di sé, mentre chissà come reagirà la cagnolina. Quando il bambino non cresce con la sicurezza che la sua mamma sia disponibile ad accogliere i suoi bisogni, la sua curiosità per l'esplorazione del mondo esterno sarà probabilmente compromessa dall'insicurezza e dall'ansia da separazione. Quel tipo di attaccamento madre-figlio è definito da John Bowlby "attaccamento ambivalente" (ansioso). Queste madri hanno avuto un comportamento imprevedibile e discontinuo con i loro figli, magari ipercontrollanti e intrusive, volte a vanificare ogni eventuale tentativo del piccolo di muoversi autonomamente senza la figura di riferimento. Questi bimbi possono diventare adulti passivi, con un grande bisogno di essere al centro delle cure altrui. Tenderanno a essere accondiscendenti pur di essere accettati, si aggrapperanno disperatamente all'altro per paura di essere abbandonati, eviteranno conflitti e contraddizioni, faranno fatica a esprimere i propri pensieri e le proprie emozioni, preferendo aderire completamente a quella degli altri. Avranno difficoltà a tollerare momentanee lontananze, si metteranno nella condizione di farsi guidare nelle decisioni, vivranno costantemente concentrati sull'altro, a quello che dice e che pensa, sempre in attesa di ricevere in cambio rassicurazioni e conforto. Creare rapporti dove tutto dipende dai bisogni del partner significa rinunciare totalmente alla propria autonomia e al proprio sviluppo personale. La costruzione delle fondamenta della propria identità (anche se si dovesse cominciare a farlo solo nell'età adulta) è una delle premesse del raggiungimento di una qualche serenità. Quel cagnolino di cui parlavo all'inizio si chiama Remì e mi sta guardando dalla sua poltrona mentre scrivo queste righe: della sua vita prima che finisse in canile, della sua prima infanzia, nessuno sa nulla. Prima di lui ho condiviso la mia quotidianità con Pharma, una cagnolona straordinaria che è morta all'età di 17 anni e che presi quando era cucciola dopo aver conosciuto la sua mamma e i suoi cinque fratellini. Ho avuto la fortuna di poter osservare da vicino il rapporto di quella mamma così dolce con i suoi piccoli: leccava continuamente i loro musi e li ripuliva, li spingeva con il naso in modo che potessero ricevere calore e nutrimento e riconduceva alla cuccia quelli che si allontanavano. Insomma una madre sicura che non abbandona e non aggredisce i suoi cuccioli. Bolwby definirebbe questo un "attaccamento sicuro" ed è quello che ha trasmesso a Pharma una grande fiducia in sé. Non l'ho mai vista spaventata, non è mai stata aggressiva con altri cani o persone, né ansiosa quando doveva rimanere sola. Un cane vivace, pieno di curiosità, equilibrato e socievole. Osservare la semplicità di certi comportamenti degli animali può essere di grande insegnamento e, in questo caso, descrive meglio di mille parole il senso di un attaccamento di tipo sicuro, quando il bambino sente di ricevere dalla figura di riferimento protezione, senso di sicurezza e affetto senza che venga castrata la sua personalità, né limitata la sua naturale spinta a conoscere il mondo esterno. |