Psicologia
Donna
ANORESSIA, PUBBLICITA' E MODELLE

Possiamo riassumere in due parole un problema così complesso come l'anoressia? Quando una
ragazza (parliamo al femminile perché è un problema che colpisce in maggior misura la popolazione
femminile) viene definita anoressica?

L'anoressia è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dall'ostinato rifiuto del cibo fino
ad uno stato di grave debilitazione. L'anoressia nasconde un profondo disagio psichico che la
persona prova a mettere a tacere (celandolo a sé e agli altri) attraverso il controllo ossessivo delle
calorie e del peso. Il corpo viene danneggiato nelle sue funzioni vitali con pesanti conseguenze
fisiche: in alcuni casi, si rischia addirittura la morte. Le ragazze che soffrono di questo disagio
difficilmente riescono a comprendere la gravità dell'eccessivo dimagrimento, si mostrano spesso
fredde, scostanti, controllate e rigide. Non hanno coscienza del loro disagio e sembrano indifferenti
alle proprie condizioni fisiche. Le famiglie segnalano, di frequente, certi mutamenti comportamentali di
queste ragazze: bambine tranquille, dolci, coscienziose che diventano adolescenti schive e solitarie.
Sono ragazze che dedicano molta concentrazione allo studio, sono diligenti, precise, con pochi slanci
affettuosi ed emotivi e poche esperienze di carattere sessuale. Si sentono costrette a soddisfare le
aspettative degli altri, ricercano ossessivamente la perfezione in tutto quello che fanno.


Lasciando per un attimo da parte le polemiche su anoressia e moda/modelle, quali sono le cause
tradizionalmente alla base di questo disturbo? Perché a volte si parla di problemi nel rapporto con la
madre, o all'interno della famiglia?

Il sintomo anoressico viene utilizzato per ribellarsi ad una realtà famigliare che è vissuta in modo
sofferto o addirittura insostenibile. Nella maggior parte dei casi, una madre e una figlia sono fuse in un
rapporto simbiotico contraddistinto da una reciproca dipendenza, in una confusione di ruoli e di
esigenze personali. La mamma tende a considerare la figlia una estensione di se stessa: i propri
desideri, le proprie necessità sono proiettate sulla figlia la quale si vede costretta a realizzare le
aspettative della madre e a recitare un ruolo lontano dalla propria reale personalità. La ragazza è così
indotta ad indugiare in una posizione infantile, è per lei faticoso divenire adulta, costruire la propria
autonomia. Le mamme di figlie anoressiche tendono a ritardarne la maturazione, mettendo in atto
strategie inconsce (ad esempio sollecitandole ad adottare un modo di vestire che penalizzi il loro
corpo, esortandole a tagli di capelli che tengano lontana qualunque idea di seduzione). La pubertà, la
trasformazione da bambina a donna, può mettere in crisi una mamma che è costretta a fare i conti con
il proprio corpo che si trasforma. Può nascere una competizione con le figlie. La trasformazione del
corpo della figlia può essere vissuto con sofferenza, gelosia, può obbligare la mamma ad una messa in
discussione di quella che è stata l'esperienza della propria vita: lì dove emergono l'insoddisfazione e il
mancato raggiungimento della propria autonomia, il rapporto con la propria figlia assume delle
sfaccettature conflittuali e dolorose. Lì dove una donna ha coltivato la sua esistenza solo nel ruolo di
mamma ecco che nasce un disperato tentativo di legare a sé la figlia, impedendole di vivere quella che
è la propria vita. Come può reagire una adolescente rispetto al tormento della madre che fa di tutto per
tenerla prigioniera nella gabbia di una infanzia senza tempo? Sceglie inconsciamente di farsi
imprigionare in quella gabbia, troverà riparo in un corpo magro, asessuato, che tanto ricorda l'infanzia:
infatti queste ragazze sembrano molto più piccole dell'età che hanno. In questo modo sarà più facile
difendersi dalla gelosia della madre, anche la frequente scomparsa delle mestruazioni conferma
questo forte desiderio regressivo. La madre è per lo più una donna bella sempre impegnata a
controllare il proprio peso e la propria linea, oppure una donna in sovrappeso che ha dovuto sempre
combattere con il controllo delle calorie. In generale si tratta di famiglie intransigenti dove vige il senso
del dovere, l'aderenza alle norme sociali. La madre conserva comunque un ruolo predominante
all'interno della dinamica famigliare mentre la figura paterna, in genere, è assente o svalutata.


Lei ritiene che le modelle che sfilano in passerella siano da considerare anoressiche da un punto di
vista medico e/o psicologico?

L'anoressia è un vero e proprio disagio psichico che si esprime con un disturbo del comportamento
alimentare e non può essere diagnosticato solamente osservando un corpo che può sembrare o
troppo magro o troppo grasso. L'anoressia trascina con sé una sofferenza profonda, un malessere
che, il più delle volte, è difficile da essere individuato soprattutto da chi ne soffre. Comunque rimane
una realtà peculiare tra le modelle, l'ossessiva attenzione per il cibo e per le calorie. Per queste top
model è comune il timore di ingrassare, di perdere il lavoro, il pensiero tormentoso di non riuscire a
firmare un nuovo contratto. Quando si spengono i riflettori il cibo negato per lungo tempo diviene la
consolazione più comune per fronteggiare la fine della "popolarità".


Ritiene che la (indiscutibile) magrezza delle modelle, che vediamo sulle passerelle e sulle pagine delle
riviste specializzate, possa in qualche modo essere considerata una della cause del problema
dell'anoressia che colpisce così tante ragazze?

Oggi il corpo femminile ( magro e filiforme) viene esibito continuamente dalla pubblicità, dalla
televisione, dai giornali etc. La ragazza adolescente è indotta a conformarsi a quello stile e
necessariamente prende quei corpi come modello a cui tendere: finisce per credere che le modelle
rappresentino la vetta più alta del benessere, della felicità e che il successo è strettamente legato alla
magrezza. Cioè per avere successo è indispensabile essere molto magre. Ma, contemporaneamente a
questo messaggio, la pubblicità offre immagini legate al cibo, spot dove ragazze, belle e magre, in
costume da bagno, camminano per la spiaggia, rincorse dallo sguardo di ragazzi che mangiano golosi
gelati. E' spontaneo associare la golosità del gelato al benessere, quindi si può arrivare a pensare che
è possibile mangiare dolci in quantità e, nello stesso tempo, rimanere magre e desiderabili. La
pubblicità utilizza un canale comunicativo potente che pone le sue fondamenta sull' informazione
"subliminale", diviene così complicato filtrare i messaggi attraverso una elaborazione critica. Allora si
può prendere alla lettera il messaggio pubblicitario e sentirsi libere di saziarsi con quantità esagerate di
dolci e gelati per poi pentirsi amaramente e vomitare quando il senso di colpa si farà insopportabile.
Oppure si sceglierà di rinunciare al cibo per raggiungere o conservare una magrezza "ideale".
Certamente l'anoressia (così come la bulimia) non esplode semplicemente perché ci si lascia
condizionare dalla moda o dalla pubblicità. Il disagio prende vita solo quando esiste già un terreno
fertile in grado di accoglierlo: qualunque disagio psichico non nasce con una diretta associazione tra
causa ed effetto ma da una interazione di più fattori. La moda, la pubblicità si impongono con i propri
miti ed ideali: oggi vengono meno i reali punti di riferimento, gli ideali costruttivi per le adolescenti che
vivono sempre di più l'inadeguatezza rispetto al proprio corpo. La necessità di essere accettate e
amate conduce queste ragazze a preferire, come unico obiettivo fondamentale, la cura ossessiva del
proprio corpo. Solo se si arriva a dimagrire di un altro chilo e di un altro ancora allora si può accettare il
proprio corpo. Se si riesce a non mangiare si può dimostrare a tutti (e a se stesse) di essere in grado di
raggiungere un obiettivo e soprattutto di essere in grado di controllarsi, di raggiungere un potere su di
sé, sulla propria vita, di raggiungere una autonomia. Ma se non si riesce a dimagrire come si era
prestabilito? Disperazione, la sensazione di aver fallito, di non essere riuscite ad andare incontro alle
aspettative degli altri, di averli delusi. Le relazioni acquistano una posizione di secondo piano, si adotta
invece la modalità di vivere "offrendo prestazioni" agli altri, evitando comunicazioni profonde. Nasce il
timore di mettersi in discussione, di sottoporsi al giudizio dell'altro, il corpo diviene l'unica via di
comunicazione tra sé e gli altri. Il corpo magro pretende disperatamente il consenso degli altri, attira
l'attenzione, ma contemporaneamente è anche un corpo ossuto, ruvido, respingente, che fa male a chi
lo tocca.


Come si cura l'anoressia? Quante sono le possibilità di guarire?

Quando si sta male, predomina l'idea di "guarire" e spesso, nel pensare
comune, lo psicoanalista è immaginato come una sorta di santone, un
guaritore in possesso di una qualche magica pozione. Ma la psicoterapia
psicoanalitica non ha la pretesa di "guarire", quanto piuttosto quella di
contrastare questo tipo di pensiero "onnipotente" attraverso una
conoscenza più adulta e più autentica di sè. Solo in questo modo diventa
possibile affrontare la realtà delle cose, riprendere in mano la propria vita,
liberarsi dai condizionamenti sociali e familiari.
Per quanto riguarda l'anoressia "guarire" non vuol dire semplicemente recuperare il peso: eliminare il
sintomo è solo un aspetto della cura, il lavoro più complicato sta proprio nell'imparare a vivere le
proprie emozioni, ricercare rapporti profondi con gli altri, vivere una vita sessuale completa,
raggiungere la propria autonomia. La cura è un percorso, un vero e proprio lavoro costante su se
stessi che non può portare a dei risultati immediati. Chi soffre di anoressia concentra tutto sul sintomo,
giornate intere sono dedicate al pensiero del cibo, come si potrebbe vivere senza il pensiero del cibo?
Si teme di non riuscire a colmare quei vuoti precedentemente occupati dal sintomo, alle volte ci si
convince di essere guariti invece, improvvisa, sopraggiunge una ricaduta che, in qualche modo, ha
una funzione "terapeutica", poiché permette di sospendere un miglioramento troppo frettoloso quindi
superficiale, che riesce unicamente a gratificare lo psicoterapeuta (narcisista) e ad illudere il paziente
(svogliato). Il lavoro psicoterapeutico si svolge su un piano più profondo, scenario più adatto per
affrontare conflitti e antiche sofferenze. La psicoterapia può essere affiancata anche da un gruppo di
auto-aiuto formato da persone che hanno lo stesso sintomo. Chi ha il mito del corpo magro, chi
concentra tutte le sue forze per ripudiare il cibo, trova rifugio nel sintomo per sottrarsi alla
comunicazione con l'altro. Il gruppo potrebbe stimolare la comunicazione con l'altro che, comunque,
vive la stessa sintomatologia ed è anch'egli bloccato dalla vergogna e dalla difficoltà di essere in
contatto con sé. Osservare altri che vivono il medesimo disagio facilita l'"oggettivizzazione" del
sintomo e il distacco da quest'ultimo. Inoltre aiuta l'identificazione e la presa di coscienza. All'interno
del gruppo si può vivere complicità, solidarietà, senso di appartenenza.


Come mai questa così forte differenza tra l'immagine di bellezza ideale e la "base" reale? Sembra quasi
che la bellezza debba essere per definizione irraggiungibile, viene in mente la storiella dell'asinello con
la carota davanti al naso... sembra quasi che più l'ideale di bellezza è irraggiungibile, più ci si affanna (e
si spende...) per cercare - invano - di raggiungerlo...

Tutto ciò che è idealizzato rimane su un piano distante dalla realtà. I "miti" aprono scenari distorti nella
nostra mente e hanno il potere di ritardare la crescita proprio perchè si legano ad un qualcosa che sa
di magico, di immaginario. Se l'identità si costruisce su basi aleatorie, fittizie, inseguendo modelli
fantastici e scintillanti se ne rimane affascinati, sedotti, rapiti ma senza dubbio predisposti ad una
inevitabile delusione. Inseguire disperatamente il mito della bellezza perfetta conduce, come nella
favola di Pinocchio, al paese dei balocchi dove tutto sembrava essere favoloso e perfetto ma poi, nella
realtà, si rivela angosciante e inappagante. La bellezza senza fine è irreale proprio perchè la bellezza
stessa è destinata ad una evoluzione nel corso del tempo: una pelle di porcellana dovrà lasciare il
posto ad una pelle rugosa. Tutto cambia, si trasforma, e così come il corpo anche la nostra psiche. La
difficoltà più grande sta proprio nell'accettare i cambiamenti e nel trovare sempre una modalità di
adattamento a tutto ciò che muta. Credere che la bellezza possa essere perfetta e immutabile costringe
ad incatenare la propria personalità, impedirle di muoversi, di vivere, la impoverisce inaridendola con
delle aspettative che non potranno mai essere soddisfatte. Non si piace agli altri perchè si è perfetti, ma
si può essere amabili proprio per quelle debolezze, imperfezioni che ci rendono speciali ed unici.
Quando una donna imprigiona la propria identità si sta allontanando da se stessa, non si conosce, non
si accetta, si convince che l'unico modo per comunicare sia rappresentato dal corpo quindi solo con
una parte di sè. E gli altri aspetti dove vanno a finire? Anche il proprio piacere sessuale è sacrificato in
nome del "dio controllo" che domina la propria esistenza. Chi affida tutte le sue forze al corpo crea
rapporti superficiali, giudicanti. Le adolescenti prima e le donne poi aderiscono perfettamente ai
richiami della società, a quegli stereotipi di una visione maschilista che tende a svilire la donna e a
ritardare qualsiasi sua conquista ed emancipazione sia nel mondo del lavoro che nell'ambiente
familiare. Il sintomo anoressico, l'ossessione del controllo del cibo e la ricerca disperata della bellezza
a tutti i costi sono l'amaro trionfo della donna oggetto, di colei che sceglie di essere nelle mani degli
altri, di essere giudicata per quello che appare e non per quello che è veramente. Ed è anche la
rinuncia al piacere e l'annullamento di sè.

Dott.ssa Mariacandida Mazzilli
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli