Psicologia
Donna
L'EMANCIPAZIONE FEMMINILE


Per arrivare al concetto di emancipazione, sono partita da quello di "falsa emancipazione"( quando
una donna a livello culturalmente riconosciuto sembra essere emancipata, mentre in realtà si sente
letteralmente soffocare).
Da qui sono arrivata al concetto di "emancipazione". L'etimologia del termine è latina: è un
composto di E (E-/EX- che significa "fuori di") e MANCIPIUM (che significa "dominio/proprietà");
esprimeva l'atto solenne, presso i romani, con il quale il padre di famiglia davanti al magistrato ed alla
presenza di 5 testimoni dichiarava il figlio libero dalla propria patria potestà.
Quindi, il termine indica che la persona diventa padrona di se stessa, ha la libertà di scegliere di
essere ciò che desidera, di dire o fare ciò che vuole, di non avere vincoli( sia interni, sia esterni).
Questa condizione è molto difficile e complessa, soprattutto nell'ambito femminile; lo testimonia
anche la storia.

Nel diciannovesimo secolo l'ideologia della famiglia borghese era detta "ideologia delle sfere
separate" ( il lavoro riguardava la sfera maschile, la casa quella femminile). A questa ideologia veniva
data una spiegazione e una giustificazione con presunte motivazioni a carattere religioso, etico,
morale, e anche giuridico. Questa ideologia, inizialmente, è stata accettata dalle donne (si vedevano
come le "signore del focolare" e avevano in questo modo il controllo sui mariti).
In un secondo momento si passa alla fase del "femminismo domestico" in cui le donne
rivendicavano maggiore autonomia nelle scelte importanti per la propria vita (ad esempio il controllo
della gravidanze). Nello stesso periodo le donne iniziavano anche a frequentare istituti per migliorare
la loro condizione (nascita dei primi collegi femminili). Naturalmente fu una dura lotta contro quegli
uomini che sostenevano che le donne erano incapaci di sostenere lo sforzo dell'insegnamento e
dell'attività intellettiva.
Il passo successivo fu quello di svolgere le stesse professioni degli uomini. Le opposizioni a tali
tentativi furono forti e molti studiosi diedero la propria adesione a teorie che addicevano motivazioni
mediche e scientifiche in opposizione alla libertà di attività delle donne (ad esempio lo psicologo
G.Hall). In questi anni, inoltre, la pubblicità della grande industria consumistica si interessò molto alle
donne e questo portò a rafforzarne molto l'importanza, tanto che ben presto iniziarono i movimenti
politici per l'emancipazione femminile anche a livello politico e sociale e non solo a livello di diritto
all'uguaglianza.
Tutto questo avvenne soprattutto negli USA, in Europa il percorso fu più lento, soprattutto in Italia,
dove il movimento fu soffocato dal fascismo che trattò le donne in modo reazionario: erano l'anello
debole della società. La loro utilità consisteva nella procreazione ( per un esercito forte). Furono
approvate numerose norme che ne limitavano la libertà e la possibilità di carriera (avvocatura e
magistratura non erano concesse per gli sbalzi umorali dovuti al ciclo mestruale).
Le due guerre mondiali furono occasione per le donne di avere libero accesso alle professioni
operaie e anche a quelle intellettuali. Ci furono anche molte eroine partigiane. Ora rimaneva da
sancire una uguaglianza anche a livello legislativo e nella mentalità comune.
Il primo paese al mondo a dare il voto alle donne è stato la Nuova Zelanda nel 1893. Nel 1946 un
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Ivanoe Bonomi concesse anche alle donne il diritto
di voto. Nell'Italia repubblicana dopo alcuni anni fu riconosciuta alle donne la possibilità di
intraprendere a pieno la carriera nella magistratura, le donne in polizia iniziarono ad esserci negli
anni '70 e nell'esercito a partire dal 2000.
Una delle principali lotte del movimento femminista fu contro la prostituzione organizzata e
legalizzata. Alla base di queste lotte c'era la necessità di ribadire l'uguaglianza sociale e di diritti delle
donne ( dignità che la legge doveva salvaguardare). Tale battaglia fu coronata con la Legge Merlin
dei primi anni '60 che chiudeva le case di tolleranza e considerava lo sfruttamento della
prostituzione come un reato.
Il riconoscimento dell'uguaglianza anche morale e soprattutto di una completa emancipazione lo si
ebbe dopo la ventata del 1968 con le proteste femministe. Tali proteste portarono all'approvazione
della legge sull'aborto e sul divorzio.
Sempre più furono le donne in politica, nell'insegnamento e negli studi accademici. Anche la
diffusione della televisione ha portato ad una migliore presentazione delle donne.
In Italia la presenza femminile è piuttosto deficitaria( parlamento italiano: meno del 4%, solo due
presidenti di assemblea).
Ancora c'è molta strada da fare per contribuire a realizzare una reale società integrata tra uomo e
donna; va evitata una sorta di vendetta maschile.
Sono sempre state le donne della piccola e media borghesia che, grazie ad una buona cultura e ad
un'organizzazione reciproca, sono state in grado di portare avanti le lotte per l'emancipazione.


L'emancipazione femminile in molti casi si rivela un'arma a doppio taglio: appare evidente come i
valori del primo femminismo (parità economica e sociale) siano stati vampirizzati e abbiamo prodotto
a livello di massa un "femminismo alla Cosmopolitan" ( donne in carriera) che ha generato molteplici
reazioni: un fastidio anche solo verso la parola "femminismo" da parte di donne più sensibili a
determinati temi sociali, una fascinazione che ha trascinato molte donne nel vortice dei valori
"carriera-denaro-affermazione" di sè, tipici del peggior capitalismo ed, infine, ci sono state anche
donne che non si sono neanche lasciate toccare dal femminismo (ad esempio: le Neo-tradizionaliste
di Faith Popcorn). Questa trasformazione del femminismo ha prodotto verso le donne una
"colpevolizzazione da falsa emancipazione", che le ha portate ha considerare le dolorose
contraddizioni della loro vita (voler stare a casa e non poterlo fare) più come il prezzo da pagare per
la raggiunta parità economica che non come le conseguenze di una parità sociale mai raggiunta.
Emblematica è la riflessione di una donna, che ho tratto dal libro della dottoressa Castoldi dal titolo
"Meglio sole", a proposito delle madri emancipate: "Voi avete alimentato le nostre illusioni. Avete
coltivato la nostra ambizione. Ci avete sollecitato a studiare, a qualificarci. Avete trasferito su di noi il
vostro bisogno di rivalsa. Il risultato qual è? Il mondo del lavoro non ci aspetta a braccia aperte, a
meno di non avere troppe pretese e di accontentarci di ruoli marginali".
In questo ultimo periodo, con l'avvento della post-modernità, si sono sviluppate nuove prospettive
rispetto al femminismo; un esempio è la teoria di Donna Haraway (che fa parte del femminismo
post-moderno) che ipotizza l'obiettivo di un mondo post-genere: riconoscendo nelle donne , come
in tutte le categorie sociali, un soggetto costruito dalla cultura propone il raggiungimento di un
mondo in cui le categorizzazioni e le dicotomie ( maschile/femminile, corpo/mente, animale/umano)
non esistono più.
"Non c'è niente di relato all'essere donna che colleghi naturalmente le donne fra loro. Non esiste
nemmeno un vero statuto dell'essere femmina, categoria in se stessa altamente complessa e
costituita attraverso la contestazione di discorsi sessuali, scientifici e di altre pratiche sociali. E cosa
vuol dire NOI? Quali sono le identità a disposizione per realizzare un mito abbastanza potente da
essere chiamato NOI? Una frammentazione tra femministe ha reso elusivo il concetto di donna".
C'è una forte componente provocatoria in quanto dice la Haraway, ma, se presa in considerazione,
può dare adito a riflessioni intellettuali attorno alla donna.

L'emancipazione femminile è un ambito importante anche nei confronti dell'amore. Spesso lo
stereotipo della donna emancipata è quello della donna libera dai vincolo di un uomo, ma non è
sempre così: essere emancipata consiste nell'essere autonome e indipendenti anche stando
all'interno di una coppia. Ciò che rende schiave è il senso di totale dipendenza e annullamento verso
l'altro. Una canzone di Carmen Consoli (Blunotte) esprime questo concetto in molto suggestivo:
Carmen Consoli parla di una donna che per l'altro rinuncia totalmente a se stessa, cambia tutto di sé
pur di compiacere l'altro, pensando che questo possa bastare, e invece risulta comunque
insufficiente. La canzone mostra come non occorra annullarsi per l'altro, la chiave non è darsi e
fondersi con l'altra persona, ma è lo scambio; è vivere con la consapevolezza che la persona è lì per
noi e non per quanto riusciamo ad essere oblative verso l'altro.

A questo proposito riporto il caso di Anna (dal libro della dottoressa Castoldi "Meglio sole") . Anna è
una signora di 52 anni, un matrimonio fallito alle spalle e un figlio di 28 anni sposato. 5 anni fa il
marito di Anna che lavora per un'agenzia di pubblicità, ha intrapreso una relazione extraconiugale
con una giovane collega di lavoro gettando nello sconforto la moglie che, fatalmente e in modo del
tutto casuale, aveva scoperto il tradimento proprio il giorno del suo 47simo compleanno. Una storia
banale, carica di tutti i luoghi comuni che una simile circostanza richiede: una moglie già entrata
nell'età matura, un marito divenuto inquieto dopo anni di rassicurante ma ormai tediosa routine, la
comparsa sulla scena di una fresca e grintosa 30enne. Ci sono tutti gli elementi più tipici del più
scontato triangolo. Anna, insegnante di scuola media inferiore, ha sempre conciliato lavoro e
famiglia senza particolari problemi. Sua madre si è prestata in passato ad accudire l'unico nipote,
quand'era bambino, nelle situazioni di emergenza, periodi di malattia di Stefano, riunioni e consigli di
classe di Anna. Anna era una di quelle donne che si dichiarano soddisfatte della loro situazione, del
loro matrimonio, della loro professione, del loro ruolo materno e non sembrano avere particolari
richieste da fare alla vita, come se la vita le avesse già rifornite di tutto. L'ultimo dei loro pensieri è
che possa intervenire qualche mutamento a incrinare questo apparente equilibrio e a scuotere le
loro certezze. L'assenza di conflittualità aperta solitamente caratterizza i rapporti di coppia di queste
donne che si considerano appagate: in realtà, un'inerzia sempre più dilagante ha paralizzato fin
dall'inizio lo sviluppo della relazione con il marito. Anna non si è mai nemmeno posta il problema
della sua autonomia personale. Si era sposata molto giovane, passando dalla tutela di genitori molto
tradizionali a quella di un marito altrettanto tradizionale, almeno per quanto riguarda la concezione
del ruolo della moglie. La sua condizione di donna che lavora, che le garantiva un'indipendenza
economica, l'aveva sempre fatta sentire emancipata al punto giusto. Si considerava, almeno in
teoria, moderatamente progressista e riteneva di avere fatto la sua parte differenziandosi dalla
propria madre, casalinga a tempo pieno. Il rapporto di Anna con il marito è stato caratterizzato per
quasi 30 anni da una totale condivisione di intenti. Antonio aveva inizialmente sacrificato per
"amore" di Anna la sua passione per il basket e le partite a calcetto con gli amici di gioventù che non
erano mai risultati graditi alla moglie. Anna li giudicava immaturi e capaci di influenzare
negativamente il marito.
Sposando Anna, Antonio ne aveva sposato la famiglia d'origine, le poche amicizie, i gusti e la
mentalità. O almeno, così pareva. Inizialmente, le rinunce che si era imposto non gli erano neanche
sembrate così pesanti. Del resto, Anna in cambio gli offriva totale dedizione, amore esclusivo e
incondizionata ammirazione. Anna non faceva nulla senza il marito e non usciva mai da sola.
L'affiatamento tra coniugi sembrava indiscutibile e il rapporto di coppia molto solido. Quantomeno
visto dall'esterno. In realtà, Antonio aveva cominciato, negli ultimi 3 o 4 anni, a dare segnali di
insofferenza che la moglie cercava di ridimensionare. Pensava ad una crisi personale passeggera,
imputabile al fatto che il marito aveva passato il traguardo dei 50 anni e si lamentava considerando la
prospettiva del proprio declino. In effetti, era arrivato il tempo dei bilanci. Antonio, che aveva un
temperamento più aperto e intraprendente di Anna, cominciava a considerare le rinunce e il
progressivo impoverimento della qualità di vita a cui l'aveva ridotto il matrimonio. Anna era sempre
troppo presente, imponendogli un legame oppressivo. Da quando Stefano, divenuto adulto, si era
emancipato, la situazione si era fatta ancora più vincolante: non c'era più la presenza del figlio a
diluire il rapporto di coppia e ad alleggerire le pretese di condivisione di Anna. Antonio ha cominciato
a sentire l'impulso di evadere, per recuperare il tempo perduto. L'incontro con Giovanna, al momento
dell'assunzione della ragazza nella su agenzia, lo ha travolto, rompendo definitivamente l'equilibrio
di un matrimonio che stava già da tempo mostrando i suoi limiti e le sue carenze. L'analisi
dell'evoluzione del rapporto di coppia di Antonio e Anna è stata fatta nel corso di un tentativo di
mediazione famigliare, al quale Antonio aveva aderito senza convinzione, per alleggerire il senso di
colpevolezza che l'intenzione di lasciare la moglie, comunque, gli procurava.
La mediazione è fallita: Antonio se n'è andato di casa e Anna ha dovuto raccogliere i cocci della sua
vita e ricostruirla. E' stata un'impresa ardua. La prima fase della psicoterapia di Anna è stata la fase
della recriminazione. Anna riteneva di essere stata ingiustamente tradita, di non avere responsabilità
personali nel fallimento del suo matrimonio, di non meritare l'abbandono e la solitudine. Poco per
volta, l'esame di realtà si è fatto più obiettivo. Anna ha cominciato a rendersi conto che stava
subendo le conseguenze di un progetto di amore troppo esclusivo e di un'impostazione relazionale
scorretta. Ora Anna sta imparando a suo modo a rivalutare la solitudine, ma non è facile. E' una
donna, per temperamento, piuttosto introversa e poco incline a socializzare. Il lavoro l'aiuta, così
come la nascita di una nipotina alla quale dedica gran parte del suo tempo libero. A questo
proposito, Anna si sta sforzando di correggere la sua tendenza a riversare anche sulla piccola il suo
bisogno, ormai ragionevolmente controllato, di fagocitare la persona amata.

Dopo aver trattato tutti questi vari aspetti dell'emancipazione, cosa significa, quindi, sentirsi
emancipate?
Per rispondere a questa domanda userò un brano tratto da "La figlia della fortuna", romanzo di
Isabel Allende:
"Era partita dal Cile con il proposito di ritrovare l'amante e di diventare per sempre sua schiava,
credendo che così avrebbe placato la sua sete di sottomissione e il recondito anelo al possesso, ma
ora non si sentiva più in grado di rinunciare a quelle giovani ALI che le stavano iniziando a crescere
sulle spalle".
Per me emanciparsi significa non dover rinunciare proprio a quelle ali che possono essere tanto la
carriera, quanto stare a casa ad accudire i figli; significa non sentirsi in obbligo verso gli altri o,
persino, verso se stesse; essere padrone di ciò che si vuole essere; uscire fuori dal dominio di ogni
tipo: dei genitori, del partner e di se stessi. E, soprattutto, essere attive e consapevoli in questo
processo.

Dott.ssa Benedetta Bigelli

Dott.ssa Benedetta Bigelli