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Psicologia |
Donna |
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli |
STRESS DA LAVORO Una volta chi viaggiava tanto ed aveva contatti di lavoro con altri paesi si imbatteva spesso nel concetto di 'stress da lavoro' o "burn-out syndrome", mentre in Italia se ne parlava poco. Adesso invece da qualche tempo se ne parla anche dalle nostre parti. Perché? Perché era un fenomeno che esisteva anche in Italia ma non veniva riconosciuto? O perché non esisteva? O - malignamente - perché è diventato un trend? Un tempo, in un mondo del lavoro tipicamente "industriale", le problematiche che destavano maggiori preoccupazioni erano per lo più legate alle fabbriche, alle condizioni dell'ambiente di lavoro (e alle eventuali conseguenze sul piano fisico), agli incidenti e ai danni causati da macchinari pericolosi. Oggi, la dimensione lavorativa è più strettamente associata alla sfera relazionale, al rapporto tra individui, e così anche il tipo di sofferenza diviene strettamente connessa ai i disagi psicologici inter-relazionali. Il lavoro richiede sempre più tempo, bisogna essere veloci, efficienti, disponibili, sempre più bravi e preparati, quello che conta è il risultato, la produttività. Il lavoro non è considerato solamente come l'attività necessaria al sostentamento, ma è diventato anche un mezzo per affermasi socialmente, amplificando così l'importanza dell'identità lavorativa rispetto a quella personale. Infatti sono diventati comuni, termini come: "burn-out", "sindrome da stress lavorativo" e "lavoro dipendenza" che si riferiscono propriamente a quel tipo di sofferenza psicologica vissuta nei luoghi lavorativi, dannosa per la salute mentale. Il fatto che di recente l'attenzione su tematiche di tipo psicologico sia molto maggiore, non deve indurre a credere che problematiche di questo tipo fossero assenti nel passato. In cosa consiste la sindrome da "stress da lavoro"? Quali ne sono le cause? L'ambiente di lavoro, il tipo di lavoro, magari dei problemi personali o l'incapacità di affrontare determinate situazioni? Lo stress è la normale reazione dell'individuo alle pressioni esercitate dall'ambiente (esterno o interno, fisico o psichico). In ambito lavorativo spesso il maggior elemento stressante è un sovraccarico, non solo fisico, ma anche e soprattutto psicologico, che provoca una sofferenza profonda in chi lo subisce. Informazioni poco chiare o comprese male possono influenzare la comunicazione tra colleghi, o tra dipendenti e datori di lavoro, costringendo il team a respirare aria di tensione e di ansia. L'estromissione dagli obiettivi dell'azienda per la quale si lavora, la delusione per quelle aspettative nutrite al momento dell'assunzione e poi non realizzate, possono contribuire alla comparsa di stati depressivi. Impiegati esclusi dall'utilizzo dei sistemi informatici, o con una preparazione carente rispetto alle conoscenze richieste dall'azienda, possono perdere la propria autostima, sentendosi scartati e rimpiazzati da chi è più preparato o dedica maggiori energie ad una sfibrante tutela del proprio ruolo e delle proprie competenze. Un aspetto del disagio professionale è rappresentato dalla sindrome del "Burnout", o "Sindrome dell'esaurimento emotivo", comune a tutte quelle professioni caratterizzate dall'aiuto agli altri e che richiedono un costante rapporto interpersonale con gli utenti. Si verifica, in chi ne è colpito, una perdita di energia e di stimoli e un malessere legato all'ambiguità di ruolo e alle strutture relazionali presenti all'interno del luogo in cui l'operatore esercita la sua professione. Tra i più comuni fattori di stress sul lavoro figura il mobbing, una violenza psicologica sul lavoro (non necessariamente a sfondo sessuale) provocata dal deteriorarsi delle relazioni interpersonali e da anomalie organizzative, una sorta di comunicazione conflittuale sul posto di lavoro, tra colleghi o tra superiori e dipendenti, nella quale la persona attaccata viene posta in una condizione di debolezza ed aggredita ripetutamente in maniera esplicita o implicita per un prolungato periodo di tempo con lo scopo preciso di mandarla via dal posto di lavoro. Tutti questi attacchi mirano a colpire la capacità di autonomia e d'iniziativa delle vittime e a renderle insicure di sé e della propria professione: in poco tempo l'autostima vacilla e nasce il dubbio per la validità del proprio operato. La "dipendenza da lavoro" è una vera e propria dipendenza legata ad una attività lecita, approvata e apprezzata a livello sociale: il lavoro. Attraverso il lavoro ci si può sentire "realizzati", si possono raggiungere obiettivi personali e si possono acquisire nuove esperienze utili al miglioramento della propria vita. La possibilità di decidere autonomamente, compatibilmente con il proprio ruolo, costituisce una forza motivante per il lavoratore ed un'occasione di accrescimento del benessere lavorativo. Il lavoro è, nell'immaginario sociale, un'attività capace di condizionare più o meno positivamente lo status sociale ed il prestigio personale, è considerato una fonte di soddisfazione in ambito relazionale, dal momento che prevede l'associazione e la collaborazione continua con altre persone (colleghi, superiori, clienti). Chi è appassionato dal proprio lavoro, ci si dedica con estrema dedizione e impiega parte del tempo libero ad approfondire ed informarsi, ricevendone un piacere immediato. Però, nella maggior parte dei casi, il lavoro non garantisce una soddisfazione immediata, è un'attività che richiede un impegno costante per poter assicurarsi, poi, un gratificazione economica o di qualunque altro tipo. La dipendenza dal lavoro è molto diffusa specialmente in coloro che riescono a vivere un "processo secondario", cioè la capacità di rinunciare ad un piacere diretto in prospettiva di una ricompensa futura (un aspetto questo raro negli altri tipi di dipendenza). Il piacere indiretto può essere quindi uno dei motori che danno vita al "lavoro non stop". Ne è maggiormente vittima il lavoratore competitivo o orientato al potere, colui che ha una attitudine spiccata alla supremazia e all'autoaffermazione, il lavoratore ambizioso e orientato al successo, instancabile, indirizzato verso modelli di perfezione e grandi responsabilità. Tra coloro che sono più predisposti alla dipendenza c'è chi considera il lavoro l'unica opportunità per vivere le interazioni sociali divenute precarie per via degli impegni quotidiani: le ore dedicate agli straordinari possono rappresentare un modo per evitare la solitudine o l'assenza di un nucleo familiare. C'è chi (e non si tratta certo di casi rari) si dedica anima e corpo al lavoro per sottrarsi ad un disagio sentimentale o familiare o chi nutre la propria autostima solo attraverso conferme e riconoscimenti sociali (per lo più figli di genitori abituati a vantare solo successi legati allo studio o al lavoro), o ancora chi si lascia sovraccaricare di lavoro per un bisogno di auto-punizione. Chi soffre di questa dipendenza si porta il lavoro in vacanza o nei fine settimana, non si assenta mai né per necessità né per malattia, può avere crisi di astinenza, provare sensazioni di vuoto angoscia e nervosismo quando è lontano dal lavoro, può avere paura di perdere il lavoro, incubi relativi a errori o insuccessi e spesso è incapace di ritagliarsi del tempo per svaghi e divertimenti. Il quadro clinico della sindrome da stress lavorativo è costellato da sintomi fisici e psichici come ansia, stati depressivi, vuoti di memoria, astenia, disturbi digestivi, cefalea, disturbi cardiaci. Chi è più esposto? Gli uomini o le donne? Le donne in moltissimi casi si occupano contemporaneamente della cura della famiglia e della casa e del lavoro fuori casa. Le due attività sono sicuramente difficili da conciliare ed è inevitabile un carico di stress fisico e mentale, soprattutto in relazione alle difficoltà nel trovare la piena soddisfazione dal punto di vista della carriera e del riconoscimento economico. Prendersi cura di casa e famiglia prevede compiti complessi, materiali e psicologici, che hanno come unico obiettivo quello di provvedere al benessere altrui: un elevato impegno associato ad uno scarso riconoscimento sociale. La maternità, per esempio, non è un impegno che finisce con la nascita del bambino, ma continua per la vita e inoltre può rappresentare una difficoltà per l'inserimento delle giovani donne nel mondo del lavoro. Spesso la donna impegnata sui due fronti si sente stanca, demotivata, svalorizzata e non riesce a capirne il motivo: la reazione più spontanea può essere colpevolizzarsi, chiudersi in se stessa. Lo stress si attiva quando le esigenze lavorative non si conciliano con le capacità, le risorse, i bisogni del lavoratore e, se protratto per un lungo periodo, il tutto può trasformarsi in veri e propri disturbi. La depressione e l'ansia (e dipendenze come fumo e alcol) potrebbero essere le conseguenze più comuni dello stress e sono proprio le donne a soffrirne maggiormente rispetto agli uomini. Al sovraccarico lavorativo si aggiunge spesso, per la donna, la mancanza di tempo per sé e di progettualità personale. Sarebbe importante delegare e strutturare il proprio nucleo famigliare all'insegna della collaborazione e condivisione: insegnare ai figli autonomia e responsabilità dei propri spazi e della cura personale, delegare mansioni al partner per una giusta divisione dei compiti, non ridurre il tempo per sé e per le relazioni d'amicizia, imparare a conoscere i propri limiti, avere un quadro realistico delle proprie possibilità per non esagerare nella quantità di lavoro. Quali i rimedi? Come la si supera, e soprattutto, quali sono le probabilità di 'superarla'? Un passo importante potrebbe essere valutare il proprio grado di coinvolgimento nel lavoro. L'azienda per cui si lavora è un sistema organizzato su parametri di efficienza e non affettivi: il posto di lavoro non deve sostituire il nucleo famigliare: anche se rimanere coinvolti emotivamente e appassionarsi alla propria attività aiuta a lavorare con migliori risultati e naturalmente con maggiore piacere, investire troppo dal punto di vista affettivo è pericoloso. I conflitti esistono, i rapporti con gli altri sono conditi da divergenze, contrarietà, non sempre può funzionare secondo le nostre aspettative e non è detto che possiamo piacere a tutti o che tutti conquistino la nostra simpatia. I nodi nascono quando si crea un dislivello tra quello che ci si aspetta e quella che è invece la realtà delle cose. Ascoltarsi, rimanere in contatto con la propria interiorità, con le proprie emozioni potrebbe aiutare a prendere coscienza dei primi segnali di stanchezza, frustrazione, ansia. Che consigli dare se il vortice dello stress ha già risucchiato il lavoratore? La sfera lavorativa non è certo l'unica a rivestire importanza nella vita. Sarebbe importante prendere coscienza della precarietà del lavoro, chiarire le proprie aspettative e cercare di comunicarle, imparare a tollerare le risposte negative (anche se può spaventare), cercare di verificare il proprio valore e il proprio ruolo nel posto di lavoro, non concentrarsi solo su ciò che non si può controllare. Se la stanchezza è in aumento, prendersi delle pause, fare dei piccoli break, finire un lavoro prima di cominciarne un altro e delegare ogni volta che può essere utile. Soprattutto prestare attenzione al proprio coinvolgimento affettivo e recuperare la giusta distanza tra la propria sfera personale e quella professionale, ritagliando spazi da dedicare ad altre attività, magari meno redditizie, ma talvolta altrettanto gratificanti, mediante le quali è possibile cominciare a prendersi nuove soddisfazioni e disegnare nuovi obiettivi con altrettanta creatività. Le vittime dello stress, i lavoratori "non stop", sono attratti dalla loro attività anche a casa o in vacanza e difficilmente riescono ad ammettere di avere un problema che andrebbe affrontato seriamente. Infatti, il più delle volte sono i familiari a segnalare il disagio di un loro caro. |
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli |