Psicologia
Donna
Quando il lavoro ci coinvolge troppo




Succede, molto spesso, sul lavoro, di non sentirsi riconosciuti come individui e
di non essere apprezzati per quello che si dà. Forte può essere la sensazione di
rifiuto per una attività che, per forza di cose, viene vissuta come per nulla
gratificante. Le condizioni sfiancanti e difficili, orari, turni massacranti, obiettivi
impegnativi possono annullare il piacere di fare il proprio lavoro. Stipendi bassi,
lavori precari e la continua possibilità di licenziamento, causano frustrazione e
diventa così un dramma alzarsi per andare al lavoro. Si ha la sensazione di non
sentirsi realizzati, di non essere se stessi, di non poter esprimere le proprie
capacità , di non costruire, di non crescere. Colleghi, capoufficio, la vicina di
scrivania, vengono inseriti nel calderone della propria insoddisfazione e, a
volte, vengono scelti come obbiettivo di sfoghi rabbiosi. Chi perde il controllo,
specialmente nell'ambiente lavorativo, è costretto ad affrontare grandi disagi
relazionali. Più è intensa la relazione, più violenta è l'aggressività che si scatena
nei contrasti. Ricorrenti momenti di rabbia possono alterare rapporti affettivi
importanti, amicizie e simpatie tra colleghi. Perdere il controllo, in ufficio, è,
sconveniente agli occhi degli altri (viene spesso associato all'aggressività) ed è
molto forte il messaggio culturale che suggerisce di reprimere l'ira per non
compromettere relazioni rilevanti, per essere accettati, apprezzati, per fare bella
figura con il capoufficio, anche quando si hanno idee diverse o si subisce una
mancanza di rispetto. A volte persone più creative, più brave, vengono travolte
dall'invidia e dalla aggressività dei colleghi che si sentono sottovalutati e messi
da parte anche se si sono sempre impegnati nelle loro mansioni. La richiesta di
essere sempre più efficienti, veloci, fa nascere ansia, sfiducia. Il desiderio di
essere apprezzati, di poter esprimere le proprie capacità, contrasta con una
realtà lavorativa in cui conta solo il risultato.
Chi vive solo per il lavoro, lasciandosi coinvolgere totalmente da tutto ciò che
accade nella sua realtà lavorativa e non coltivando uno spazio personale al di
fuori, rischia di sacrificare una parte importante di se stesso. Cosa si crede di
conseguire in cambio di molti sacrifici? Può risultare estremamente difficile
coltivare una vita privata e affettiva appagante e, nello stesso tempo, impegnarsi
nel portare avanti la propria realizzazione professionale, ma è necessario tenere
bene a mente che il lavoro non può essere l'unica realtà in cui investire tutte le
proprie energie. Il lavoro, che non sempre è effettivamente collegato a una
passione, a un interesse, come tutte le cose, può deludere, può finire, può
cambiare nel corso del tempo e può essere vissuto in maniera costruttiva solo
se soddisfa il bisogno di fare esperienze, di essere autonomi, di accrescere una
sicurezza in sé. Non bisogna permettere al lavoro di divorare tutta la propria
energia mettendo a rischio la propria ricchezza interiore e lo sviluppo della
personalità. I rapporti interpersonali in ufficio devono rappresentare solo una
fetta della nostra lista di conoscenze. Così condividere il piacere di festeggiare il
compleanno di un collega o sentirsi libero di esprimere una propria idea
durante una riunione può essere vissuto più serenamente. Il "collega" diventa
veramente odioso quando è insoddisfatto e i suoi sfoghi "incontrollati"
costringono gli altri ad allontanarlo, isolarlo: può diventare difficile anche
scambiare due parole davanti ad un caffè. I rapporti interpersonali vanno
coltivati quotidianamente, è importante rispettare lo spazio dell'altro, senza
invaderlo raccontandogli solo le nostre insicurezze e i nostri problemi. E'
indispensabile cercare di essere autonomi nelle proprie mansioni lavorative,
mai totalmente dipendenti da un collega che finirebbe per stancarsi di lavorare
con una zavorra. Fondamentale è avere idee chiare sulle proprie aspettative e
comunicarle, saper accettare i rifiuti e comprenderne i motivi. Saper dire di no
quando non si è disponibili per un nuovo progetto o semplicemente per un
invito pausa-pranzo. A volte, fare, per dovere, delle cose che non ci sono
gradite aumenta l'aggressività e perdere il controllo diviene una consuetudine.
La presa di coscienza di aver "esagerato" è fondamentale per riparare una
situazione difficile. Chiedere scusa, ma farlo in maniera autentica, spiegando i
motivi della propria ira, potrebbe mettere l'altro nelle condizioni di comprendere
e di perdonare. I rapporti si rafforzano quando si mettono in discussione i
propri errori. L'importante è desiderare di migliorare il rapporto.
Sicuramente stress e l'insoddisfazione colorano la vita di tonalità grigie e la
necessità di sfogare la rabbia può divenire molto intensa. Personalità istintive,
poco assertive, che, di natura, sono portate ad "agire" il proprio disagio e a non
"pensarlo", a non veicolarlo su un piano di dialogo, sono quelle più a rischio.
Forse anche coloro che fanno della eccessiva introversione e riservatezza una
propria caratteristica potrebbero risultare all'esterno un po' antipatiche, dando
l'impressione di darsi delle arie.
Sforzarsi di trovare un equilibrio tra la propria vita personale e quella
professionale non è facile se si è abituati a farsi travolgere solo dal vortice
lavoro. A volte ci si disabitua proprio a mettersi in relazione con qualcuno e a
"seguire" le proprie passioni e i propri interessi, troppo spesso sacrificati. Per
prima cosa andrebbe riscoperto il piacere di fare cose che appassionano (fare
una passeggiata all'aria aperta, shopping, sport, cucinare e quant'altro), per il
semplice piacere personale: dopo aver risvegliato questi piaceri per se stessi,
può diventare ancora più appagante condividerli con amici, partner e, perché
no, colleghi. Non si può pretendere di coinvolgere qualcuno se siamo proprio
noi a prendere le distanze da ciò che ci piace.
Perdere il controllo, a volte, è una reazione davanti ad un ostacolo, aiuta ad
affermare il proprio Io, a custodire la nostra personalità. E' un segnale di allarme
che ci avverte che qualcuno ci sta calpestando. Chi reprime la propria rabbia,
reprime al tempo stesso la propria energia e la propria creatività. Esistono
persone che preferiscono aggredire se stesse piuttosto che arrabbiarsi con gli
altri, ma soffocare la propria collera dà vita a sentimenti di umiliazione, di
inferiorità, se non addirittura dolore fisico. Con questo non si vuole dire che
perdere il controllo è preferibile a soffocare la propria rabbia: va cercata una
giusta via di mezzo. Non è "naturale" essere sempre al top, perfetti, pazienti,
pronti a dire paroline dolci e gentili al proprio collega. Anche il nostro umore
può subire dei cambiamenti, ci sono giornate "no" per tutti. La rabbia può
essere utilizzata con una modalità costruttiva se dà energia ad una richiesta
basata sui propri desideri. E' importante imparare ad esprimere la propria
collera perché solo in questo modo ci si può avvicinare ai propri reali bisogni e
costruire relazioni più autentiche. Ogni reazione rabbiosa cela un dolore, un
disagio, una insoddisfazione. E' utile allearsi con la propria rabbia, ascoltarla,
cercando di capire che cosa ci sta comunicando, dove siamo stati feriti, che
cosa desideriamo e perché. Si deve manifestare il fastidio che un determinato
comportamento ha provocato in noi, esprimere il proprio pensiero, i propri punti
di vista. A volte l'ira viene scatenata dal nostro modo di interpretare le azioni
dell'altro: prima dello sfogo sarebbe importante chiedersi quanto la rabbia sia
oggettivamente giustificata in quel momento. La collera è una emozione
violenta, smorzare l'esplosione iniziale, aiuta ad affrontare le discussioni in un
modo più equilibrato.
Dott.ssa Mariacandida Mazzilli